Il capolavoro del teatro beckettiano nella visione poetica e sognante di Claudio Boccaccini. La condizione definitiva dell’attesa, nella speranza di una svolta che non arriverà. L’immobilità, l’incapacità di agire. Così Beckett descrive l’uomo del Novecento. E Boccaccini sottolinea la spiazzante e indiscussa modernità dell’ opera, accompagnando il pubblico attraverso la sua comicità surreale e pungente.
Samuel Beckett dipinge la condizione stagnante dell’esistenza, abbandonata nell’attesa di una soluzione salvifica e rassicurante per la propria vita, senza che l’uomo faccia il minimo sforzo per ottenerla. Una soluzione che non arriva, ovviamente, perciò il senso dell’attesa continua in un ciclo eterno, dove l’azione è solo un’idea che si traduce inevitabilmente in immobilità. Nella visione di Boccaccini i due atti originali sono assimilati in un atto unico, ma se, da una parte, la drammaturgia segna un cambio decisivo e conclusivo che fa avvertire la necessità di uno stacco, dall’altra, la continuità permette di percepire in maniera forse maggiore il senso di ciclicità dell’attesa e la natura astratta del tempo, apparentemente immobile, ma che scorre sempre uguale a se stesso.