Immaginiamo di vivere in un mondo in cui finalmente regna l’Empatia, così come teorizzato da
Jeremy Rifkin nel suo celebre best-seller del 2009. Sarebbe davvero un paradiso?
Un mondo in cui non possono esserci differenze di razza e di genere ma tutti sono definiti
semplicemente “esseri umani”, privi di una identità sessuale specifica. Un mondo in cui tutti
vestono un’uniforme e pettinature simili, perché non può esistere nessuna forma di
discriminazione sociale, economica ed estetica.
Immaginiamo di vivere in un mondo in cui il linguaggio è sorvegliato e tutti sono soggetti a precisi
rituali enorme di comportamento, persino nell’alimentazione: si mangia rigorosamente vegano e si
beve solo acqua. Nessuno può dirsi e sentirsi brutto, triste, arrabbiato o in difficoltà.
Un mondo nel quale i conflitti sono aboliti: fra genitori e figli i rapporti sono idilliaci, così perfetti
da sembrare irreali, fiabeschi e le separazioni non sono momenti dolorosi, difficili da elaborare ma
vengono gestiti e appianati “godendosi la solitudine, per potersi evolvere”.
Gli anziani non sono anziani ma “esseri umani che hanno vissuto di più”, il becchino è colui che
“adagia sottoterra”, il giardiniere “un esperto di crescita”, la toilette “un centro per l’igiene”, chi
perde il lavoro diventa fortunato “per aver ricevuto la possibilità di un nuovo orientamento”.
Anche la morte di persone o animali diviene un evento positivo perché si diventa “cibo per altri
esseri umani, ecologicamente compatibile”.
Un mondo fatto di tabù linguistici, fondato su una melliflua censura delle parole non appropriate,
nel quale i sentimenti negativi vengono rimossi dal linguaggio stesso. L’atmosfera che regna
ovunque è pregna di un formalismo esagerato, in cui le relazioni sono intrise di buonismo e
artificiosa finzione ed ogni divergenza di idee viene abolita. Ma cosa accade se irrompe sulla scena
la realtà, nuda e cruda, incarnata da una coppia di “selvaggi”, le voci dissonanti di un uomo e una
donna“primitivi”?